Massimiliano Smerghetto: Un centro commerciale quartierale per salvare Venezia


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di Alvise Danesin
Illustrazione di Thomas Borrely

Quando sentiamo parlare di Centro Commerciale, la prima cosa che ci viene in mente è probabilmente un grande, spesso grandissimo, edificio situato in una zona extraurbana con all’interno decine di negozi, ristoranti, supermercati, bar e chi più ne ha più ne metta, tutto rigorosamente proveniente dal franchising.

Qualche mese fa, invece, un Centro Commerciale è sorto nel centro di Venezia, tra canali, ponti e strette calli, a San Francesco della Vigna, piccola zona situata nel sestiere di Castello che prende il nome dall’omonima chiesa. L’intento? Riunire e aiutare i piccoli commercianti della zona. Dopo che la straordinaria acqua alta del novembre 2019 e la pandemia hanno messo a dura prova tutto il settore, i commercianti di San Francesco della Vigna hanno pensato di affrontare insieme questo periodo di crisi, unendosi nel primo Centro Commerciale Quartierale. Me ne parla Massimiliano Smerghetto, uno degli ideatori del progetto e titolare de “La Beppa“, bottega di riferimento in tutta la città per varietà dell’offerta e qualità dei prodotti.

Vorrei cominciare approfondendo la tua storia. Tu sei titolare de “La Beppa”, negozio situato in Salizada San Francesco della Vigna, nel Sestiere di Castello. Oltre a lavorare, vivi anche in Centro Storico a Venezia? Hai sempre lavorato qui?

Sono nato e cresciuto in Centro Storico. Attualmente vivo in zona San Giobbe, dalla parte opposta dell’isola rispetto al negozio. Nel corso del tempo ho svolto diverse professioni ed è solo dal 2002 che lavoro in città. Sono stato direttore di un’azienda metalmeccanica e precedentemente ho fatto parte dello staff ristretto che si occupa dell’organizzazione del Premio Letterario Campiello per Confindustria Veneto.
Poi ho deciso di fare una scelta di vita diversa e sono ritornato in città per lavorare nell’attività di famiglia. Pian piano ho preso in mano sia la parte logistica che commerciale del negozio, fino ad arrivare ad esserne il titolare.

Mi racconteresti brevemente la storia dell’attività di famiglia? Come e quando nasce “La Beppa”?

“La Beppa” nasce negli anni ‘70, quasi per caso, anche se la passione per il commercio è sempre stata molto radicata nella mia famiglia, tanto che mio nonno materno è nato in un bastimento tra Napoli e gli Stati Uniti, letteralmente a bordo, mentre mia nonna era una commerciante di origine friulana che girava i mercati del Nord-Est e della ex-Jugoslavia.

“La Beppa” nasce per quando mia nonna, entrando in un negozio di ferramenta a San Francesco della Vigna, decide di comprarlo. L’idea iniziale era quella di aprire una merceria, ma pare che quel negozio gli fosse piaciuto di più. La prima sede si trovava dove ora c’è il negozio di animali e, dove adesso c’è la macelleria, c’era un piccolo magazzino. Con il tempo il negozio si è trasferito nella parte opposta di Salizada San Francesco e mia madre è subentrata nella direzione della parte commerciale. Mio padre invece era maestro vetraio: quando è andato in pensione si è fatto coinvolgere dall’entusiasmo per la bottega e si è unito per dare una mano. Quando è mancato, ho deciso di tornare a lavorare in città con l’idea di portare avanti l’attività di famiglia. Pian piano abbiamo ingrandito gli spazi e allargato l’offerta commerciale.
 
La ferramenta nel tempo è diventata a tutti gli effetti una merceria e, ad oggi, la nostra offerta va dall’arredamento per la casa agli utensili da lavoro, dalla tintometria agli articoli di cartoleria, fino all’intimo. Ci siamo inoltre specializzati in materiale per le belle arti e l’arte performativa. L’obiettivo è quello di dare un’offerta che sia il più completa possibile al veneziano.


Salizada San Francesco, Castello

Salizada San Francesco, Castello

“La Beppa” infatti è un punto di riferimento non solo per il residente di San Francesco della Vigna o per il Sestiere di Castello, ma per tutta Venezia.

Questo è un bene e un male. Bene per noi dal punto di vista commerciale, vuol dire che in questi anni abbiamo investito in prodotti di qualità destinati soprattutto a chi in città vive e lavora. Ma anche un male, perché sintomo del fatto che la città non riesce più a dare un’offerta completa ai suoi abitanti e chi vive in un Sestiere diverso è costretto a spostarsi fino a San Francesco della Vigna.

Molte attività, legate soprattutto ai servizi essenziali, in questi ultimi anni sono state costrette a chiudere a causa della scarsa clientela. La Venezia di 20-30 anni fa me la immagino molto più viva rispetto a quella attuale. Quanto è cambiata in questo lasso di tempo?

Paradossalmente la Venezia di adesso ha più servizi rispetto ad un tempo per quanto riguarda il trasporto pubblico e l’offerta museale e culturale. Questo velato benessere deriva però da un unico motivo: il turismo. Per gli occhi di chi ci abita la tendenza è stata opposta. Per farti un esempio, in Campo dei Mori, dove sono nato, c’erano almeno 7 o 8 botteghe contro le 2-3 di adesso. Puoi immaginare la zona di San Francesco della Vigna tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘90 quando c’erano almeno una ventina di negozi in più. Questo a testimonianza del fatto che vi era una presenza fisica di residenti decisamente più ampia. Adesso quei residenti non ci sono più. Sono stati sostituiti dai turisti. Questo ha inevitabilmente portato ad un cambiamento radicale nel modo di vivere e lavorare in città. Quando ero giovane non c’era l’abitudine di uscire la sera a bere lo spritz, come probabilmente sei abituato a vedere o a fare tu stesso ora e i luoghi di ritrovo non erano così numerosi come lo sono ora. Ricordo che qualche volta si andava in Campo Santa Margherita, ma solamente per via della vicinanza all’università. Quello che voglio dire è che la città intera aveva la necessità di andare a riposare presto perché il giorno dopo si lavorava. C’era chi aveva il negozio, chi era artigiano, chi aveva piccole fabbriche o rimesse. Venezia era una città semi-industriale pulsante. Adesso la città è legata al turismo, quindi sono cambiati gli orari, la vitalità, il modo di spostarsi in città. Ha perso le sue caratteristiche peculiari, oggi è un’altra cosa.

Mi capita spesso di sentire due punti di vista riguardo le cause di questa trasformazione della città. Da una parte, c’è chi colpevolizza le scelte politiche, incapaci di dare ascolto alle necessità della città. Dall’altra, chi vede nei veneziani stessi la causa di questo spopolamento, concentrati solamente sul voler vendere un prodotto al migliore offerente. Quali sono state, secondo te, le scelte politiche che hanno portato a questo cambiamento? E quelle personali dei cittadini?

Hai toccato un tasto dolente. Ci sono state sicuramente scelte politiche scellerate. Sono stato all’interno dell’amministrazione comunale per almeno 10 anni, come delegato alla cultura per la Municipalità di Venezia, e sono riuscito a farmi un’idea dei meccanismi contorti. Purtroppo non si è riusciti a gestire l’assalto turistico degli ultimi decenni e, soprattutto, a salvaguardare le caratteristiche tipiche di questa città. Così, per arginare il danno, si è pensato che l’unico modo per mantenerla viva fosse di legarla mani e piedi al turismo. E quando manca la linfa vitale ad un albero, l’albero muore. Oggi, che questa linfa manca completamente a causa della pandemia, molte attività non riescono a sopravvivere e tutto il “sistema città” non riesce a reggersi in piedi autonomamente.

Va detto anche che i veneziani hanno le loro responsabilità. Se provassimo a nasconderlo non potremmo mai pensare di modificare questa situazione. I residenti hanno sicuramente la responsabilità per quanto riguarda le affittanze turistiche. Negli anni ‘70/’80 a nessuno di noi sarebbe mai venuto in mente di affittare la casa di famiglia per andare a vivere da un’altra parte, facendola diventare, molte volte, la principale fonte di reddito. Inoltre, credo anche che buona parte dei giovani abbia abbandonato la città preferendo un modello di vita probabilmente più semplice, senza lottare. Questa cosa l’ho detta anche durante una riunione aperta in un circolo politico causando più di un’indignazione.
 
Adesso ci troviamo in una situazione in cui la città ha un grosso problema di anzianità, e quindi poca voglia di mettersi in gioco. Fortunatamente Venezia è la sede di tre importanti università che portano linfa giovane tutti gli anni e ci permettono di confrontarci con punti di vista diversi. Uno dei grandi temi a cui le amministrazioni – di qualsiasi colore esse siano – dovrebbero pensare è quello di far rimanere il più a lungo possibile chi viene in città per studiare. Leggevo qualche mese fa una statistica molto incoraggiante in questo senso: pare infatti che un giovane su tre che si è laureato qui vorrebbe rimanere per vivere e lavorare. D’altronde dal punto di vista culturale la città offre ancora molti stimoli. Invece non riusciamo a dare ai giovani la possibilità di attivare le proprie specialità. Chi si laurea in economia e commercio o in architettura è difficile che trovi lavoro a Venezia. Alcuni amici architetti mi riferiscono che ormai sono diventati dei passacarte o si arrangiano con micro lavori di ristrutturazione. L’architetto che ti cambia la città, se c’è la necessità, viene dall’estero e i risultati non sempre sono eccezionali, come gli ultimi ponti (vedi Ponte della Costituzione, ndr).

Quali sono secondo te le difficoltà che un imprenditore, o comunque chi ha un’attività, si trova ad affrontare maggiormente? E quali invece quelle di chi vorrebbe aprirne una da zero?

Le due cose vanno trattate in maniera differente. Perché ‘imprenditore – e mi piace che tu abbia usato questo termine perché molto spesso ci si dimentica che il commerciante è un piccolo imprenditore – che ha già un’attività, e che magari è in città da tanto tempo, ha delle problematiche molto diverse da chi invece vuole aprire una nuova attività. La grande problematica per la prima categoria è il ricambio generazionale. Chi è ormai anziano, e magari alla soglia della pensione, molto spesso non trova all’interno del nucleo familiare chi vuole continuare con la tradizione commerciale di famiglia. Alla fine si trova a dover chiudere, a sparire e ad aumentare la desertificazione commerciale della città. Questo è un problema grosso che dovrebbe essere affrontato, non solo dall’amministrazione, ma anche dalle categorie che rappresentano i vari settori commerciali. Bisogna trovare il modo di rendere appetibile la possibilità di subentrare all’attività familiare. Ora come ora, è difficile che il figlio di un biavarol (colui che ha una bottega di alimentari, ndr) voglia a sua volta diventare biavarol: è un mestiere difficile con un alto rischio e dei margini di profitto bassi rispetto ad un impiegato o un operaio.

Chi invece vorrebbe aprire un’attività rivolta ai residenti si ritrova inevitabilmente a fare i conti con la penuria di clientela. Non si possono aprire nuove realtà commerciali se non hanno modo di sostenersi, e l’unico modo è quello di avere residenti che frequentano quelle realtà. Nella vetrina della farmacia Morelli, in Campo San Bartolomeo, c’è il conta-residenti e oggi, quando son passato, era sceso drasticamente sotto quota 54mila.

È in questo contesto che nasce il Centro Commerciale Quartierale di San Francesco della Vigna. Mi racconteresti come e quando è nata questa idea?

La prima bozza del Centro Commerciale risale a circa 25 anni fa, quando abbiamo fondato anche l’ ”Associazione San Francesco della Vigna” e le botteghe erano più numerose. L’idea aveva in parte funzionato, ma non durò molto. Io non lavoravo ancora qui a Venezia, avevo solo contribuito a dare una mano quindi non saprei dirti come andò esattamente. Poi l’acqua granda del 2019 e subito dopo la pandemia hanno cambiato completamente lo stile di vita in città. A quel punto mi sono chiesto quale potesse essere il modo migliore per riuscire a tutelare la coscienza e la vita di un quartiere come San Francesco che è molto legato al suo aspetto commerciale. Nel momento in cui questo quartiere dovesse perdere il suo commercio si snaturerebbe talmente tanto da non essere più riconoscibile. Ho pensato allora che l’unico modo era rimettere in rete le attività presenti, nel numero maggiore possibile, e cominciare a progettare delle attività comuni.

Abbiamo cominciato a discutere l’idea e confrontarci su quali potessero essere le strategie commerciali da mettere in atto e nel frattempo, un po’ per scherzo, abbiamo aperto la pagina Facebook del Centro Commerciale Quartierale per provare ad inserire qualche promozione. Dopo pochi giorni hanno cominciato a contattarci vari quotidiani locali, le categorie e, dato che eravamo in campagna elettorale, diversi esponenti politici che giustamente volevano sapere cosa stava accadendo a San Francesco della Vigna.

Proprio nei prossimi giorni daremo vita alla nostra prima vera iniziativa, inserendo in un unico volantino le promozioni di alcune delle attività che hanno aderito all’iniziativa. Un po’ come se si entrasse in un vero centro commerciale dove sai di poter trovare delle offerte precise. Il flyer verrà ovviamente distribuito anche in forma cartacea dato che molti dei nostri clienti non sono avvezzi alla tecnologia. Questa sarà solo la prima delle tante attività che abbiamo in mente e che stiamo organizzando già da ora. Cercheremo di organizzare eventi legati al mondo dell’enogastronomia e del restauro e stiamo contattando alcune personalità per presentare libri legati alla tradizione, alla città e al commercio.

Stiamo crescendo e ci stiamo guardando dentro. Il nostro scopo – passami il termine – è quello di diventare “contagiosi”: riuscire a trasmettere il nostro virus di vitalità anche ad altre zone della città e far venire voglia ad altri di rimettersi in gioco e ridare aria fresca alle proprie attività. Noi siamo disponibili e già da adesso sono in contatto continuo con colleghi di altre zone. C’è la necessità di mettersi alla prova per capire se il progetto possa realmente camminare, però siamo fiduciosi e per niente invidiosi se qualcuno vorrà fare esattamente la stessa cosa in altre parti della città. Per noi sarebbe una vittoria, vorrebbe dire che la città sta tornando ad essere una città “normale”, anche se il termine non è appropriato per il nostro contesto. Il nostro desiderio è che Venezia torni ad essere una città vera.

Quante e quali sono le attività che hanno aderito al Centro Commerciale Quartierle? Esiste un modo specifico per potervi aderire?

Non prendiamo delle adesioni vere e proprie come fosse un’associazione. Siamo aziende diverse e quindi ognuno ha le proprie caratteristiche economiche. Attualmente credo che a San Francesco della Vigna non sia rimasto fuori quasi nessuno, forse una delle tre osterie, ma pensiamo sia comunque possibile coinvolgerla. Non vogliamo che ci sia un’adesione vera e propria, vorremmo che la cosa fosse naturale e che ci fosse una voglia spontanea di proporsi insieme. Anche per quanto riguarda le offerte economiche, come può essere il volantino, vogliamo che sia una scelta libera quella di proporre le proprie promozioni in base alle proprie possibilità, non vogliamo imporre niente. Non siamo la grande distribuzione. Noi vorremmo dimostrare a tutti che c’è l’opportunità di poter fare le cose assieme. Per farti un esempio pratico: non succederà mai che venga imposto alla macelleria di applicare offerte ogni settimana, ma son sicuro che quando ci sarà la possibilità di poter inserirsi nella campagna offerte del Centro Commerciale lo farà. Deve essere naturale, non possiamo e non vogliamo aggravare sui già molti adempimenti che una piccola attività ha.


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Deve esserci quindi un’adesione all’ideale di collaborazione, più che la volontà di associarsi per una tutela.

Sì, esatto. Mi piacerebbe che con il tempo si potesse creare un tessuto economico talmente fitto e collaborativo da far sembrare a chi entra a San Francesco della Vigna di entrare in un contesto unico – magari il meno unico possibile. Sarebbe bello creare un contesto come quello dei mercati parigini!

Parliamo del ruolo dei cittadini in quest’iniziativa: come possono i veneziani dare una mano al Centro Commerciale Quartierale?

I residenti hanno un compito straordinario: valorizzare le attività che meritano. Il commercio è fatto di sana competizione e di proposte differenti. I residenti di San Francesco della Vigna hanno una grandissima opportunità e quello che posso consigliare è fare di tutto per tenersi stretta questa realtà. Il residente deve riuscire a vivere e amare il proprio quartiere cercando di salvaguardare le attività che, pur soffrendo, danno un servizio straordinario al cittadino. Ti faccio un esempio concreto: con l’associazione fino a qualche anno fa organizzavamo un carnevale all’interno dell’evento del carnevale ufficiale. Per qualche anno lo abbiamo ambientato nel periodo romano della conquista della Gallia e abbiamo trasformato il quartiere nel villaggio di Asterix e Obelix. Per quei 15-20 giorni la stragrande maggioranza dei residenti si era talmente calata nella parte da venire in negozio e girare la città vestiti da Galli. Per tornare invece a quello che ho detto poco fa: è inutile che ci nascondiamo dietro a un dito, stiamo soffrendo molto per colpa di quella che secondo me è una concorrenza sleale. E non perché la grande distribuzione e la vendita online non sono legittimati ad esistere, ma per il semplice fatto che sviliscono completamente il rapporto umano e quella che è la bellezza di acquistare e di poter toccare il prodotto. Questi tipi di acquisti imbarbariscono la socialità.

Le attività che sembrano resistere meglio in questo periodo di crisi sono proprio quelle che fino a poco tempo fa sembravano essere destinate a chiudere definitivamente. Come sta andando per voi che non avete basato la vostra offerta esclusivamente sul turista?

Questa è una scelta che arriva da lontano. Nel mio caso, la scelta di rivolgersi al residente è sempre stata una caratteristica distintiva. Il turista/ospite nel mio negozio è sempre ben accetto e, anzi, sono orgoglioso di avere la possibilità di interfacciarmi con persone che arrivano da tutte le parti del mondo. Quando però il turista passa per di qua trova ancora un quartiere di veneziani, che parlano veneziano per strada e dentro i negozi. Da noi l’impatto di questo periodo è stato probabilmente meno violento, ma come d’altronde per tutti i luoghi in cui si è dato spazio ai servizi per i residenti. Parlavo qualche giorno fa con una collega romana: il centro storico di Roma è completamente vuoto, come da noi piazza San Marco, però i quartieri resistono. Questo perché il panificio, piuttosto che la ferramenta o la merceria, hanno sempre investito sul romano, come noi sul veneziano. Abbiamo sempre cercato di dare al veneziano il miglior servizio possibile. Per noi il fatto che ci fossero persone “estranee”, come chi ha una seconda casa o il turista di passaggio – cosa comunque non troppo frequente perché fuori dagli itinerari classici – era un surplus dal punto di vista economico, non ha mai fatto la differenza. Sicuramente abbiamo sofferto meno di chi ha completamente mutato il proprio modo di fare commercio sperando che la gallina dalle uova d’oro ci fosse sempre.


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Per concludere: come ti immagini Venezia tra 10 anni, e come invece ti piacerebbe che fosse?

Io tra 10 anni Venezia la immagino esattamente come mi piacerebbe che dovesse essere. Se la immaginassi in un modo diverso e cominciassi a fare un discorso negativo allora a quel punto mi sarei già arreso. Devo immaginarla migliore, piena di centri commerciali quartierali come quello di San Francesco, con un ritorno da parte dei giovani in città che decidano di spendere la propria forza intellettuale qui. Me la immagino soprattutto con un’amministrazione che sia in grado di capire e rispettare la città e i suoi abitanti. Ci tengo a sottolineare una cosa: veneziani non si nasce, veneziani si diventa per scelta. Se riesci a capire la città e a viverla cercando di migliorarla, per me sei più veneziano di Nane che abita in Corte del Morion.