Francesco Abazia: This Is Atlanta – Viaggio al centro della serie cult di Donald Glover


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di Gabriele Naddeo
Illustrazione di Thomas Borrely

Francesco Abazia è Project Manager di nss magazine e nss sports, ha scritto di musica, cinema e serie TV un po’ ovunque (Red Bull Music, Esquire, Rolling Stone, Vice, DLSO) e da novembre 2020 cura “Montague”, una newsletter che racconta la serie cult di Donald Glover, Atlanta, episodio per episodio. La newsletter prende spunto dai retroscena della serie – popolarissima all’estero e ancora relativamente poco conosciuta in Italia – per raccontare al pubblico italiano la cultura afroamericana e l’America in generale. Da fan sfegatato di Atlanta – e della newsletter – ho allora proposto a Francesco un’intervista sullo stile della sua “Montague”, selezionando una serie di fotogrammi tratti dalla serie e chiedendo di usarli come spunto per raccontare alcune delle tematiche centrali in Atlanta e nella comunità afroamericana. Perché, come sottolinea anche Francesco nell’intervista, a vedere Atlanta in modo superficiale e senza conoscere un minimo di contesto a cui si riferisce, si perde veramente tanto. 

Quest’articolo è stato scritto seguendo le regole dell’italiano inclusivo. Se notate errori o avete segnalazioni da fare, scrivete qui.

Stagione 1 – Episodio 5 (Nobody Beats the Biebs): il Justin Bieber nero e il mito del twice as good 


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Questo secondo me non è uno dei migliori episodi della serie, ma è senza dubbio uno di quelli di cui si è parlato di più, insieme a Teddy Perkins, e che è rimasto nell’immaginario collettivo. L’idea del black Justin Bieber (in foto) nasce perché Donald Glover voleva metterci di fronte a una situazione paradossale. Bieber è l’esempio lampante e rappresentazione massima delle superstar teenager statunitensi: il bambino bianco col caschetto biondo che raggiunge una popolarità enorme a 13 anni. Poi Justin Bieber cresce e diventa la celebrità viziata, che insulta il suo pubblico – celebre la volta in cui sputò i fan dal balcone – e a cui però gli si viene perdonato tutto al contrario di tante altre star, soprattutto donne e afroamericanз, perché è bello e perché è bianco. Quindi mostrandoci un Justin Bieber nero che si comporta in quella stessa maniera, ma continua a mantenere la grande popolarità del vero Bieber, Glover voleva mettere in risalto l’assurdità della situazione, considerando che nessun*artista afroamericanə avrebbe goduto dello stesso privilegio se si fosse comportato come Justin Bieber.

Questo discorso ci porta al mito del twice as good, un concetto sviluppatosi nella comunità afroamericana subito dopo l’era di Jim Crow e al tempo delle grandi migrazioni dellз nerз dal Sud schiavista al Nord più civilizzato. Lз afroamericanз che avevano vissuto l’epoca Crow in prima persona iniziano a raccontare allз figliз che per affermarsi nella società americana purtroppo non basta essere bravз: se non sei bianco bisogna essere due volte più bravз. È una narrativa che nasce come meccanismo di difesa, perché dire una cosa del genere a unə figliə significa metterlə di fronte alla difficile realtà del razzismo. D’altra parte, negli ultimi anni moltз afroamericanз stanno rigettando sempre di più questo concetto, sottolineando che sia un mito deleterio perché ovviamente nel momento in cui dici di dover essere due volte più bravə di qualcuno per arrivare al suo stesso risultato significa che stai implicitamente accettando che ci sia una disparità di fondo, quando rifiutare il mito della doppia bravitù – come viene definita in italiano – significa provare a imporre pari opportunità. Sicuramente da una parte c’è la visione di un popolo disilluso, che lotta per la sopravvivenza, mentre dall’altra quella di chi vorrebbe superare alcuni stereotipi. Io non so dirti quale delle due visioni sia giusta e tra l’altro voglio sottolineare che spesso moltз immaginano la comunità afroamericana come un blocco monolitico, fatto di persone che pensano e votano tutti la stessa cosa e ascoltano la stessa musica. Non è affatto così, ma proprio per niente.     


Stagione 1 – Episodio 6 (Value): la “whiteface” di Tobias


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Quando nel corso della newsletter sono arrivato a dover raccontare questo episodio – e in particolare questa scena –  mi sono perso nel Reddit di Atlanta per provare a capirne il senso. Perché a parte ribaltare lo stereotipo della blackface non sembra avere un senso chiarissimo, non ti pare? 

Anche io mi sono perso nel Reddit di Atlanta e mi sono imbattuto in una teoria. Diceva che in questo episodio c’è Vanessa che vuole evitare in più di un’occasione di immedesimare gli stereotipi che si affibbiano alle donne afroamericane, quindi la “whiteface” di Tobias – alunno della scuola di Vanessa – servirebbe a mettere la protagonista di fronte al suo stato d’animo. Come se lei si sforzasse di mostrarsi agli altri in un modo non sincero, costruito, solo per paura di cadere nei tratti stereotipati della sua comunità.

Interessante…e forse per certi versi anche quasi troppo elaborata! È qui però che sta anche la bellezza di Atlanta: ha queste trovate bizzarre e geniali che lasciano spazio all’interpretazione. Poi però io sono dell’idea che non tutto vada per forza spiegato, ma mi piace questa teoria devo dire. 

Stagione 1 – Episodio 6 (Value): la babushka


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Questa è una delle mie puntate preferite, tra l’altro l’unica in cui il focus è tutto sulle donne. In questo senso, una delle poche critiche che ha ricevuto Atlanta è stata di essersi focalizzata di più su una visione maschile. Quest’episodio invece ribalta la cosa, dando una visione a 360 gradi delle donne in Atlanta e portandoti continuamente a metterti nei panni sia di Vanessa che di Jade, che vivono due vite molto, molto diverse. È un episodio tra l’altro che viene prima di ASAP Rocky e della sua fissazione per la babushka. Ecco questo è un discorso interessante e per certi versi divertente. Lo street, rispetto ad altre tipologie di moda, nasce soprattutto dalla black music, dalle sneakers e dal mito di Michael Jordan, quindi è strettamente legato alla black culture. Il compimento di questo percorso è Virgil Abloh che diventa direttore artistico di Louis Vuitton, ma in generale tutti i trend più importanti lanciati nel fashion negli ultimi anni sono arrivati da creativз nerз, basta citare Kanye, per esempio. Poi però quando pensi alla babushka capisci che effettivamente non basta essere ASAP Rocky per lanciare un trend di moda, considerando che nemmeno una delle persone più cool del pianeta ci ha convinto a indossarla.


Stagione 1 – Episodio 7 (B.A.N.): Antoine Smalls e la transraciality


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Questo è IL migliore episodio di Atlanta in assoluto, per me anche più di Teddy Perkins. È una roba che non ha nessun precedente e una serie di riferimenti a fatti e tematiche che sono molto forti. In questo episodio della serie si parla in modo ironico di transraciality – che in realtà è una cosa completamente diversa, considerando che ovviamente persone nere non possono diventare bianche e viceversa, checché Michael Jackson ne dica. Il concetto di transraciality viene dalla sociologia e dalla psicologia. Se ne parla per esempio quando bambinз nerз vengono adottatз da famiglie di bianchз. Ci sono diverse scuole di pensiero al riguardo, con tantз sociologз che si oppongono alla pratica di questo tipo di adozioni e altrз che la sostengono. L’episodio invece prende spunto da un fatto di cronaca assurdo per raccontare una visione comica e distorta dell’idea di transraciality. Rachel Dolezal è un’ex-professoressa universitaria di African Studies alla Eastern Washington University e attivista che per anni si è spacciata per nera, dicendo di essere figlia di madre bianca e padre afroamericano, nonostante in realtà fosse figlia di due genitorз bianchз. Cose che possono succedere veramente solo negli USA. Fatto sta che poi è stata scoperta dallз genitorз, che sono andati in televisione a mostrare le foto della figlia da bambina. La storia, in classico stile Atlanta, viene ribaltata nell’episodio con il racconto di Antoine Smalls: afroamericano convinto di essere un uomo bianco trentacinquenne del Colorado. Oltre alla storia di Smalls, che è veramente assurda, l’episodio poi è fantastico anche per i falsi spot pubblicitari che vengono mostrati durante la trasmissione. 

Stagione 1 – Episodio 7 (B.A.N.): lo spot dei Coconut Crunchos e Ben Crump


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Questo spot – una delle finte pubblicità che vengono trasmesse durante l’episodio – è tanto incredibile quanto inquietante, considerando che anticipa quello che poi succederà con George Floyd. Il caso di George Floyd è anche interessante per approfondire meglio la figura di Ben Crump, celebre avvocato afroamericano che ha difeso moltissime famiglie lз qualз figlз sono statз uccisз dalla police brutality. La sua tattica di base è riuscire a fare quanto più casino mediatico possibile, perché Crump è convinto che solo attraverso il casino mediatico si possa veramente far aprire gli occhi alle persone. Grazie a questa tattica è riuscito sempre ad ottenere dei risarcimenti milionari per lз suз assistitз. Fino ad ora però si pensava che questo modo di Ben Crump fosse utile per far ottenere alle famiglie lauti risarcimenti, ma andasse un po’ a penalizzare la parte processuale. Poi però la sentenza storica di Chauvin ha sicuramente cambiato le cose e probabilmente ribalterà anche la narrativa di Cramp.


Stagione 1 – Episodio 9 (Juneteenth): Juneteenth, Craig e l’appropriazione culturale


Juneteenth è la festa che celebra la fine della schiavitù, che si fa coincidere con il 19 giugno 1866, quando ufficialmente l’ultimə schiavə afroamericanə è stato liberatə, anche se, per assurdo, la schiavitù era formalmente stata abolita già due anni prima. Se non che al tempo le notizie arrivavano con una certa lentezza, quindi dal proclama di Washington all’effettiva liberazione sono passati alla fine due anni. Nel tempo la festa ha assunto sempre più valore ed è stata sempre più riconosciuta, anche grazie ad Internet, considerando che fino agli anni Novanta era ancora poco celebrata e diffusa principalmente solo al Sud degli USA. La grande novità è arrivata proprio negli ultimi giorni, dato che dopo anni di discussioni in merito Juneteenth è ora diventata una festa federale.

Juneteenth è anche il nome che Glover dà a questo episodio di Atlanta. Quello che si vede in foto è Craig, un uomo bianco molto ricco ed estremamente appassionato non solo di black culture, ma della storia nera in generale. È andato in Africa ed è sorpreso quando scopre che Earn non c’è mai stato, dicendo che deve assolutamente visitarla per “riscoprire le sue radici”. Questa ed altre sparate di Craig – come quando dice alla nuora nera che stava sbagliando a cucinare un piatto tipico della cucina afroamericana – sono chiaramente momenti in cui si supera il limite, facendo pendere il personaggio verso l’appropriazione culturale. Il discorso però è secondo me molto complesso, dato che il limite tra appropriazione culturale e apprezzamento culturale può essere veramente molto labile. Appropriazione culturale è naturalmente quando si trae vantaggio da un’altra cultura, mentre per certi aspetti quella di Craig appare spesso come una fissazione culturale. Se ti fai una stanza tua in casa e la riempi dei tuoi santini della cultura africana sei sicuramente un fissato, ma forse dobbiamo trovare un’altra definizione per questo concetto, perché non possiamo mettere sullo stesso punto fissazione e appropriazione culturale.

Stagione 2 – Episodio 4 (Helen): Atlanta e l’Europa


Stando a quanto si sa finora, una delle due nuove stagioni di Atlanta dovrebbe essere prevalentemente girata in Europa e l’altra negli USA. Immagino che la terza sarà in Europa, seguendo l’imminente tour europeo di Al. Ovviamente è riduttivo pensare che si parlerà solo del tour di Alfred, dato che Atlanta non è mai stata in fondo una questione di musica, quindi sarà super interessante vedere come lз personaggз di Atlanta interagiranno con l’Europa. Lз americanз molto spesso guardano all’Europa in maniera idilliaca, come tra l’altro facciamo noi con l’America. Sicuramente non sarà il caso di Atlanta, come d’altronde questo episodio ha già dimostrato, prendendo spunto dalla festa tedesca della Fastnacht, celebrata nella serie da Vanessa in quanto tedesca. Cosa che poi prende spunto dalla realtà, considerando che Zazie Beets, l’attrice che interpreta Vanessa, è americano-tedesca. Se sei una persona a cui Atlanta fa ridere – tenendo in conto che Atlanta non ha quella comicità diretta – questo secondo me è uno degli episodi più divertenti. Tra l’altro, secondo me dopo una seconda stagione molto cupa, credo – e spero – che la terza sarà un po’ più leggera, considerando che negli USA la situazione ora è diversa rispetto a quattro anni fa. La mia speranza è che andando in Europa, Earn, Al e Darius ridicolizzino un po’ tutti quelli che sono una serie di tic europei, quindi chissà magari avremo una terza stagione che tende più verso la comedy. Boh, vedremo! 

Hai ragionissima quando dici che Atlanta non ha una “comicità diretta” e che forse bisogna conoscere un minimo di contesto di riferimento per apprezzarla appieno. Sarà per questo che la serie, tolta una nicchia di appassionati, non è ancora così conosciuta in Italia?

Questa credo sia anche colpa della distribuzione, poi certo è un cane che si morde la coda, dato che le distribuzioni si fanno in base alle ricerche sullз consumatorз, il costo del prodotto eccetera. Però, di base, se in pochз l’hanno vista in Italia è perché fino all’anno scorso nessuno l’aveva comprata. È la stessa storia del perché lз grandз rapper americanз non vengono a fare concerti da noi. Perché sono convintз di non riempire i palazzetti. Drake per venire in Italia dovrebbe fare San Siro, però in Italia hai paura di non riempire San Siro e probabilmente non lo riempiresti, motivo per cui il nostro Paese viene spesso escluso dai tour europei.

Nel complesso, diciamo che, sì, per godere appieno di un prodotto del genere è importante conoscere un minimo il contesto, interessarsi. Non è una serie da usufruire in maniera passiva, con cui passi la serata e stop. Poi non è che è solo Atlanta ad essere complessa, però certo è una di quelle serie che se viste senza un minimo di curiosità si perde tanto. Vedere una serie come Atlanta in modo superficiale secondo me poi significa non valorizzare la televisione come mezzo di espressione e istruzione, non solo di intrattenimento. Che poi è proprio quello che volevo fare con la newsletter: provare a spiegare qualche retroscena partendo da piccoli spunti della serie 

Stagione 2 – Episodio 5 (Barber Shop): il barbiere nella cultura afroamericana


Questo episodio è stupendo. Non sono poche le culture che “venerano” i barbieri. Per esempio per i portoricani la cura del capello è molto importante così come i barbieri sono molto rilevanti anche nella cultura turca e del Sud Italia. A Napoli e in Sicilia il barbiere è “una divinità”. Nella cultura afroamericana, il barbiere ha un ruolo molto, molto rilevante, come per esempio si vede anche nella serie Luke Cage su Netflix. Lì si parla della storia di un detenuto che acquisisce dei superpoteri a causa di un esperimento governativo. Riuscito ad evadere, vive come fuggitivo ad Harlem, dove diventa un po’ il protettore della comunità, nascondendosi proprio in un barber shop. In generale, la storia della cultura del capello nella comunità afroamericana è davvero interessante, offrendo uno spaccato di cos’è veramente la black culture. Penso per esempio al film Malcolm X di Spike Lee, dove si vede Malcolm che passa da farsi piastrare i capelli – con queste lozioni che tra l’altro oggi sarebbero super illegali – a farseli rasare. È un passaggio fondamentale, perché piastrare i capelli è sempre stato visto come un tentativo di avvicinarsi ai canoni estetici di bellezza bianchi, mentre il capello rasato per gli afroamericani era visto come un segno di appartenenza alla comunità. Adesso le cose sono un po’ cambiate, perché moltз preferiscono far crescere i capelli o raccoglierli nei dread.

Stagione 2 – Episodio 6 (Teddy Perkins): le bandiere confederate


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Lakeith Stanfield (in foto) è un grandissimo attore con uno storia pazzesca alle spalle. Per un certo periodo è stato anche un senzatetto a Los Angeles, per dire. Il suo personaggio, Darius, è ovviamente la cosa più vicina a Twin Peaks che Donald Glover ha inserito all’interno di Atlanta. Questo, come dicevo prima, è uno degli episodi di cui si è parlato di più nella storia della serie e spesso uno dei preferiti di chiunque. Leggevo poi che è il primo episodio di un comedy show – come Atlanta alla fine è classificato – che si conclude con un duplice omicidio. Donald Glover qui ci mostra ancora una volta come si possono ribaltare con intelligenza alcuni concetti: il cappellino sudista con la bandiera confederata che Darius trasforma da Southern Made a U Mad è semplicemente una trovata geniale. La bandiera confederata rappresentava gli stati schiavisti ed è tuttora mostrata in certi palazzi del potere del Sud degli USA. Soprattutto in Georgia, dove è ambientata la serie, che è uno stato con una conformazione veramente stranissima. Perché mentre Atlanta e un paio di contee limitrofe – come quella di DeKalb da cui viene Donald Glover – sono a stragrande maggioranza abitate da afroamericanз, il resto della Georgia è tendenzialmente a prevalenza bianca, con molte zone che in realtà sono spopolate. 

Ora, mentre moltз afroamericanз in Georgia supportano il partito Democratico, a causa della cosiddetta red line – ovvero il modo in cui sono disegnati i distretti in cui si vota – il partito Repubblicano è riuscito a prevalere per anni, considerando anche tutta la questione della soppressione del voto allз afroamericanз in Georgia, ma qui dovremmo aprire veramente una parentesi molto grande. Quindi Glover, come ha detto più volte nelle interviste, è cresciuto “circondato dalle bandiere confederate” – che poi sono varie, non c’è solo quella rossa con le strisce blu e le stelle bianche – e non ha perso occasione per ridicolizzarne il significato in modo intelligente. Tra l’altro, a proposito di bandiere confederate: è veramente assurdo come quella bandiera sia finita nella curva dei tifosi del Napoli. Ho provato a capirlo, ma non ci sono riuscito: non credo ci sia un motivo preciso, magari è solo questione di estetica.

Stagione 2 – Episodio 8 (Woods): Atlanta e l’uso dell’horror


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La seconda stagione di Atlanta – la cosiddetta Robbin’ Season – è ciò che secondo me ha reso la serie un cult. Perché la prima stagione è ottima, ma la seconda è proprio di un altro livello, inserendosi in un periodo storico molto cupo, vedi l’elezione di Donald Trump, e sfruttando una cifra stilistica spesso tetra, quasi da film dell’orrore, che tanto deve all’esplosione dei film di John Peel. L’uso dell’horror per raccontare l’esperienza di essere nerз negli USA è molto diffuso, perché la storia dellз afroamericanз è di base una storia horror. A questo proposito, sto vedendo Them, serie che segue una famiglia di afroamericanз che durante il periodo delle grandi migrazioni passa dal vivere dal South Carolina a Compton – che nella nostra testa è N.W.A., Kendrick Lamar eccetera, ma che in realtà al tempo era a prevalenza bianca. Cito Them perché da alcunз è stata anche un po’ criticata, definita come “pornografia del dolore nero”. Questo per dire che negli ultimi anni c’è stata un’esplosione della narrativa horror: è stata la grande novità del cinema afroamericano e probabilmente uno dei generi che negli ultimi tre anni si è evoluto di più, passando da racconto dell’orrore fine a se stesso a strumento di critica della società.